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Dopo un pomeriggio in redazione

Pensieri sparsi, pedalando verso il treno che riporta a casa

La redazione de I Sogni di Cristallo riunisce persone con disabilità dei vari Servizi della Cooperativa, alcuni che frequentano  da anni i centri diurni, altri ospiti in comunità anche esterne, oltre a chi è presente solo per alcune attività laboratoriali.
E’ coordinata da un educatore professionale, che facilita l’organizzazione delle attività, orienta in modo produttivo gli interessi che spontaneamente emergono, accompagna alla realizzazione dei prodotti del lavoro redazionale: le interviste, gli articoli di approfondimento, i post sui canali social.
L’articolo che segue è la testimonianza delle riflessioni dell’educatore, che ci permette di conoscere l’esperienza umana e culturale dei partecipanti la redazione, colta da chi ne conosce i risvolti più profondi, aiutandoci a comprenderne il valore.


DOMANDE, PIU’ CHE RISPOSTE

Lo dico io, che c’ho una certa età e che faccio questo lavoro da un bel po’: che meraviglia!
L’ho ripetuto spesso, lo penso davvero: avere il privilegio di accompagnare persone davvero speciali (quelle che frequentano quotidianamente i nostri servizi) è un compito arduo. Eppure ci sono momenti nei quali le fatiche, le amarezze, le incomprensioni che fanno parte di questo lavoro come di molte altre attività meno… anomale della mia, vengono letteralmente spazzate via da positivi quanto virtuosi ed imprevedibili dati di realtà.

Giovedì pomeriggio, riunione di redazione: siamo al completo come quasi sempre quest’anno.
I “giornalisti” sono molto affezionati al lavoro, ma anche alla reciproca compagnia.
Si parte con un argomento che Alessandro ha preparato con cura: la lettura del libro che la giornalista Marcelle Padovani ha dedicato a Giovanni Falcone ha suscitato in lui sentimenti di profondo rispetto ed ammirazione per un uomo che sin da bambino ha deciso, lo conferma l’autrice, di imboccare una strada difficile, quella che l’avrebbe condotto fino a quel punto fatale dell’autostrada, a Capaci. “Uomini in grado di anteporre il bene comune a quello proprio” dice Antonio.

Il discorso si allarga: ricorrono i 50 anni dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi. Le testimonianze della moglie Gemma, rintracciabili facilmente su Youtube, i racconti del figlio Mario (l’ex direttore di Repubblica che ha aperto un sito che si chiama “Altre Storie”; quanto ci piacerebbe intervistarlo, il Mario) hanno sempre evidenziato una compostezza quasi innaturale, una pacificazione (innanzitutto con se stessi) per la quale è impossibile non commuoversi. Dò il mio contributo, rivelando di avere appena letto un’intervista a Marina Orlandi (vedova del giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Br nel 2002) sul senso del perdono, che è un cammino periglioso, non una banale dichiarazione d’intenti.

Poi si alzano altre voci, ed ulteriori ricordi: e il giudice ragazzino, Rosario Livatino? E Aldo Moro? Max, che non è di primo pelo, ha la memoria lunga…
Si fa largo Matteo, con una copia del Corriere: non ci sarebbe spazio per capire meglio la richiesta di annessione alla Nato di Svezia e Finlandia?
Calma, faccio io, una cosa per volta…

Improvvisamente, sorta di fulmine a ciel sereno (o di autorete alla Radu, se preferite: comunque una cosa che non ti aspetti…), chiede la parola Federico, che spiazza la platea con tono gentile (ma la stoccata lascerà il segno): che senso ha essere disabili?

Silenzio.

Le chiacchiere stanno a zero, le frasi di circostanza non servono.
Fulvio è scosso. Matteo riflette: si effettivamente la disabilità non è mica una cosa bella, vissuta da dentro…
Max osserva che quando era piccolo il termine in uso era “handicappato” (praticamente, una condanna senza appello). Adesso, al termine “disabilità” si preferisce quello di “fragilità”.

C’è molta consapevolezza, l’argomento è urticante, ma ci siamo dentro tutti, nessuno escluso.

Antonio è lapidario: diciamo che noi, prima di altri, ci troviamo ad avere a che fare coi nostri limiti. Tutto il giorno, tutti i giorni.

Incalza ancora Fede: ma gli altri… sono costretti a sopportarci?

Qua intervengo io: il termine giusto è supportare. In latino significa portare insieme. È quello che cerchiamo di fare con voi tutti i giorni. Aiutare a riempire di senso le vostre azioni, condividendo i limiti di entrambi, i vostri come i miei. Spesso riportate di aver sempre davanti le vostre difficoltà, compagne ingombranti delle vostre esistenze. Ma forse l’età (la mia) non è una barriera che purtroppo ho già valicato e dalla quale non posso tornare più indietro? L’incapacità nel riuscire a comprendervi non è forse una mia specifica fragilità? L’essere costretti talvolta a scegliere al posto vostro, pensate sia piacevole?

Già, è vero. A questo non avevamo pensato…

Si è fatta una certa, come dicono i giovani oggi. È l’ora dei saluti. Gabriele, collegato in videochiamata con whatsapp, smania dalla voglia di comunicarci che prima di Natale diventerà zio, Marco lo sono venuti a prendere e fugge via al volo, non prima di averci ricordato che domenica prossima saranno 19 (con riferimento agli scudetti del Milan). Con Max (lo conosco da una vita, praticamente un fratello minore, insieme ad Ale) ci si dà appuntamento al giorno dopo.

Torno alla mia scrivania. Li avrò rinfrancati? Sarò stato credibile? Avranno pensato che in qualche modo voglio rimediare ad una situazione (la loro) che accomodabile non è?
E soprattutto… avrò mai risposto alla domanda di Federico?

Pensieri che si accavallano confusi, sarebbe interessante decrittarli, io i loro e viceversa. Chissà cosa ne caveremmo. Fuori, il caldo oltremodo estivo di Milano non dà tregua, ed il fine settimana prevede temperature tropicali.

Pedalando velocemente e con un po’ di affanno sulla strada che mi riporta verso la stazione (il treno diretto a casa non mi aspetta, meno male che è quasi sempre in ritardo), ancora ci rifletto: sarò stato adeguato?
Trovo posto tra viaggiatori stanchi, qualcuno assopito. Con lucidità, mi dico che forse le domande poste da loro, dai “miei” ragazzi, sono ben più importanti delle mie povere risposte.
Sono certo che sia così, come sono convinto che la mia compagnia giovi loro più delle mie parole.

E, sarò sincero, non vi nego quanto la loro compagnia faccia bene a me!

 

Giancarlo Volonté (capo-redattore de I Sogni di Cristallo)

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