Conversazione con Tiziana Tacconi, ideatrice del corso di Terapeutica Artistica dell’Accademia di Brera
La redazione di Sogni di Cristallo ha incontrato la Prof.ssa Tacconi approfittando di un invito alla presentazione del lavoro artistico realizzato da Rosario Cavallo, esposto a conclusione del suo percorso specialistico in Terapeutica Artistica a Brera.
Come tesi di laurea egli ha proposto un’opera condivisa (potete ammirarne le foto nelle immagini), svolta con i ragazzi del nostro Centro per l’Innovazione Educativa ed esposta nella ex chiesa di San Carpoforo, giusto a pochi metri dall’Accademia di Belle Arti. Ne è scaturita una conversazione con la sua docente, la professoressa Tiziana Tacconi, fondatrice e responsabile del biennio di II° livello di Terapeutica Artistica.
Di seguito l’intervista, pubblicata sul n° 45 della rivista.
“Un corso iniziato nel 2004-05” ci dice accogliendoci, “la cui finalità è rendere l’arte e l’educazione ad essa accessibili a chiunque”.
Eppure – ribattiamo noi – la Terapeutica Artistica è una disciplina ancora non del tutto sdoganata dal grande pubblico. Eppure, se pensiamo solo all’Opera Condivisa qui esposta, di grande impatto, non solo per chi ne fruisce visivamente, bensì soprattutto per i suoi interpreti materiali…
“Ne convengo con voi. La Terapeutica Artistica è ancora sconosciuta al grande pubblico, mentre ad esempio l’Arteterapia, che ha una storia molto importante, gode di maggiore fama. Quest’ultima nasce intorno alla seconda metà del ‘900, in ambito prevalentemente psichiatrico e è consolidata dal fatto che l’arte per i pazienti è un grande aiuto. Ma da allora le cose sono molto cambiate, soprattutto per gli enormi progressi in campo clinico e farmacologico. Qual è allora la novità che propone la Terapeutica Artistica? Quella di un‘educazione all’arte intesa come una libera e colta espressione, davanti alla quale il soggetto che decide di accostarsi diventa esso stesso artista. Attualmente l’Arteterapia e la Terapeutica Artistica sono distinte e non esattamente collaboranti. A noi sta a cuore non solo il processo, ma anche il frutto che ne scaturisce, l’opera creativa. Per fare ciò, occorre insegnare ad esprimersi con i linguaggi dell’arte. Credo di poter affermare che siamo di fronte ad un nuovo sistema di educare all’arte, percorribile anche da chi non frequenta corsi accademici e non ha una cultura artistica. Un impianto che, rivoluzionando la didattica, ha messo nella condizione di poter lavorare con tutti, anche con i bambini, gli anziani, le persone con fragilità, seppur differenti tra loro. Personalmente, preferisco lavorare con persone al di fuori dei percorsi di studi artistici. Trovo che ci sia da parte loro una maggior disponibilità, un’apertura più ampia, che porta giocoforza ad una migliore espressione di sé. Fatemi aggiungere che non sopporto le definizioni modaiole un po’… da outsider: che so… “questo artista è schizofrenico, o magari autistico, oppure psicotico. E’ l’opera che interessa, la condizione particolare è secondaria: ciò che conta è il valore stesso della vita. L’arte non ha etichette! Anche il Papa recentemente, in una bellissima lettera agli artisti, ricordava come il termine “arteficere” significhi “capace di fare ad arte”, dove per arte si intende, in sintonia col mondo greco, la capacità di ogni individuo vivente di esprimersi. L’arte in epoca moderna è talvolta (spesso) sconfinata nel mercato, nel business; ciò per certi versi ha un po’ snaturato il concetto di arte. Ciò non toglie che chi ama l’arte ed è disposto a pagarla, è sempre ben accetto, a condizione che il valore non diventi il codice di comportamento dell’artista.
Siamo sempre più incuriositi ed incalzanti: ci può spiegare allora il valore ed il senso di un’opera condivisa, come quella che il nostro Saro (così siamo soliti chiamare Rosario, NdR) espone qui in San Carpoforo?
Il concetto di “opera condivisa” è una nostra creazione. Insieme la forza creativa aumenta, riesce a demolire barriere, quali la paura, la timidezza e l’ansia da prestazione. Si consideri che fino all’avvento di Giotto, l’artista aveva sempre lavorato in bottega: il suo contributo consisteva nel soffermarsi a dedicarsi alla pittura di volti, mani e piedi. Tutto il resto era riservato agli allievi. Al contrario in questa società tutto transita in direzione dell’ego, di una partecipazione “egoica”; mentre ci sarebbe un bisogno pressoché assoluto di stare gli uni con gli altri. Un progetto condiviso, come nel caso dell’Opera in Blu di Saro e dei vostri ragazzi, è un progetto di gioia, di un tempo ben condiviso e delimitato, economicamente potente ed utile. Dicevo poco sopra che ci appartiene il concetto di “opera condivisa”, ma l’idea non l’abbiamo inventata noi: ci è letteralmente apparsa! E faccio riferimento al nostro primo lavoro svolto. Ricordo che la collega Silvia Mornati (fedele collaboratrice della professoressa Tacconi e che qui cogliamo l’occasione di ringraziare per averci anche lei accompagnati alla conoscenza di questo mondo meraviglioso e a noi sconosciuto) era allora una mia allieva. Abbiamo lavorato per un anno in reparto di oncologia di un ospedale milanese; un impegno grande, una fatica non da poco, realizzata fianco a fianco con i pazienti, i loro familiari ed al personale. Delle due opere realizzate, l’ultima, una parete di 6 metri, ancora presente nel reparto ed ora protetta da una lastra di cristallo, è costituita da ritagli di carta. Un giorno, una signora, l’ultima di giornata, si fermò, alla fine dell’ennesima seduta di chemioterapia, a conversare con noi. La vedevamo spesso, ci conoscevamo. Quel giorno, guardando il nostro lavoro, senza esitazione ci confidò: “Io so cosa avete fatto: le strisce che voi usate sono simili a quelle che ho ricevuto in regalo da mia figlia, di ritorno da un viaggio in India. Mi ha detto che sono preghiere. Lo so, le ho risposto, le facciamo anche noi in oncologia”. Rimasi stupita e commossa da quelle frasi, e ripensando alle sue parole, “io… so… cosa… state… facendo… mia figlia… mi ha detto… le ho risposto… che anche noi… facciamo…”, mi sono accorta che senza volerlo quella donna aveva coniugato tutte le forme della comunicazione, aveva dato respiro, profondità e consistenza a qualcosa di già esistente. Dissi a Silvia: “Questa è un’opera condivisa”.
Una bella storia, che conserviamo nel nostro cuore di camminatori sui sentieri del non usuale. Grazie, prof. Tiziana! Grazie, prof. Silvia. E grazie a Saro, per averci fatto varcare la soglia di questa affascinante terra…
(tratto da “I Sogni di Cristallo” n. 45 – luglio 2019)